February 08, 2003



GUARIRE GRAZIE ALLE TERAPIE ALTERNATIVE



Quando uno non si sente bene, chiede come prima cosa qualche farmaco al medico in grado di riportarlo allo stato di salute ideale. Invece alcune volte non è così perché i farmaci consumati al giorno d'oggi non sempre sono adatti a tutti, possono far bene da una parte…ma dall'altra?

Infatti non è raro sentire casi di mala sanità causati da prescrizioni di medicinali sbagliati…quante persone si ritrovano dal dermatologo dopo aver preso un farmaco consigliato per un' altra patologia ?
In casi estremi alcuni pazienti sono stati persino costretti ad appoggiarsi a psicologi per gravi effetti collaterali a livello psichico.

Ora esistono una nuove tecniche di cura, una nuova medicina: la Medicina Alternativa che raggruppa una vasta gamma di terapie, la più famosa fra queste è l' Omeopatia, conosciuta in tutto il mondo.

Ne esistono altre, forse meno note, ma non per questo meno valide e tra queste ricordiamo: Ayurveda, Cromoterapia, Cristalloterapia, Iridoterapia, Geoterapia, Fitoterapia, Fangoterapia, Frigoterapia, Floriterapia, Pranoterapia, Reiki e tante altre ancora.

February 07, 2003

Le super-proteine prevengono l'apoplessia


E' stato provato che per prevenire una massiccia morte delle cellule associato ad apoplessia cerebrale o ad altre patologie le proteine sono molto piu' utili della terapia genetica.
I ricercatori giapponesi della Nippon Medical School hanno prodotto geneticamente il fattore super anti- apoptotico FNK,una proteina nota per le sue proprieta' che inibiscono la morte della cellula.
Si pensa che la proteina influenzi il trasporto degli ioni del calcio entro la cellula.
FNK e' stata poi fusa con PTD (protein transduction domain) una proteina che consente al virus HIV di entrare nella cellula.
Introdotta in un modello di cervello con danno ischemico, la proteina PTD-FNK impiega un'ora per introdursi nei mitocondri e proteggere i neuroni contro le tossine indotte dalla morte delle cellule ritardando cosi' la lor o fine.
Diversamente dalla terapia genetica,che si basa sul trasporto tramite virus inattivati,le proteine possono essere trasportate molto piu' velocemente e direttamente.
PTD-FNK puo' essere una valida terapia in campo clinico per prevenire la morte delle cellule nella regione ippocampale del cervello.
Proc.Natl.Acad.Sci. U.S.A.99,Dicembre 2002
Chi usa il nostro idrogeno


Un microbiologo della North Carolina State University e il suo collega della University of Georgia hanno studiato per la prima volta il metabolismo del batterio Helicobacter pylori presente negli uomini e responsabile di ulcere e tumore gastrico.
Sembra che il batterio utilizzi idrogeno come fonte di energia per sopravvivere.
Il batterio produce l'enzima idrogenasi che permette di usare l'idrogeno nello stesso modo in cui altri batteri dissociano carboidrati per crescere.
Questa strategia energetica permette di vivere in ambienti ricchi di idrogeno come alcune aree agricole e, da quanto scoperto recentemente, nel nostro stomaco.
Usando modelli animali i ricercatori hanno trovato che la mucosa gastrica contiene addirittura 50 volte piu' idrogeno di quello che l'enzima e' capace di usare.< BR>In un ceppo mutato di H.pylori ,senza idrogenasi attiva, solo un quarto dei batteri e' riuscito a colonizzare la mucosa rispetto al batterio normale.
Grazie a questa scoperta si potra' formulare un nuovo tipo di antibiotico capace di inibire l'enzima idrogenasi.
Drug Discovery Today vol.8,n.3 Febbraio 2003
Un batterio molto particolare


Il batterio Deinococcus radiodurans puo'tollerare quantita' di radiazioni che sono letali a tutti gli altri organismi.
Il batterio e' stato realizzato con l'ingegneria genetica e detossifica sostanze inquinanti in depositi di rifiuti che contengono metalli vari,sostanze organiche e materiali radioattivi.
Fino ad ora non era ancora chiaro cosa determinasse questa resistenza, ma una ricerca congiunta fra il Weizmann Institute of Science(Rehovot,Israele) e il National Cancer Institute(Bethesda,MD) ha indicato nell'inusuale struttura del genoma batterico il segreto della sua sopravvivenza in condizioni estreme.
Solitamente,dopo l'esposizione a sostanze radioattive il DNA si frammenta.
Il Deinococcus non contiene nessun enzima riparatore di questo tipo di danno.
Si ha invece un genoma con una struttura ad anello.
Marcando questo DNA e controllandolo al microscopio si e' visto che le terminazioni libere del DNA frammentato sono trattenute insieme permettendo poi di ricongiungersi correttamente senza bisogno di replicarsi.
Science 299,Gennaio 2003
Meccanismo dell’obesità scoperto da un gruppo di studiosi italiani


All’origine dell’obesità potrebbe esserci un difetto genetico che inibisce la produzione di ossido d’azoto, sostanza che aumenta il numero di mitocondri, centrali energetiche della cellula, capaci di bruciare i grassi in eccesso. La scoperta, sui topi, è di ricercatori italiani, di Milano e della Calabria.



Fonte: Corriere della sera


L'ortoressia

E' l'ossessione di mangiar sano che si trasforma in una patologia
nervosa che spinge le persone ad adottare una dieta sempre più rigida
fino a eliminare gruppi essenziali di cibi, anche quelli utili per
una alimentazione equilibrata. L'hanno chiamata ortoressia (dal greco
orthos che significa "giusto", "corretto") e dopo l'anoressia e la
bulimia rischierebbe di diventare negli Stati Uniti l'ultimo dei
disturbi psicosociali. Ad affermarlo è il medico statunitense Steven
Bratman, autore di Health Food Junkies, un libro appena uscito, ma
che è già un best-seller. Esperto di medicina alternativa e
consulente di diverse istituzioni accademiche come lo State of
Washington Medical Board, il Colorado Board of Medical Examiners e il
Texas State Board of Medical Examiners, Bratman non è tuttavia ancora
riuscito a convincere tutti i suoi colleghi nutrizionisti. Tra questi
Kelly Brownell, del Centro per i disordini dell'alimentazione e del
peso di Yale che afferma di non aver mai visto questo tipo di
disturbi in vent'anni di lavoro in clinica. Perplesso anche Dean
Omish, del Preventative Medicine Research Institute, il quale ritiene
piuttosto che il problema sia opposto, ovvero che la maggior parte
delle persone seguono un'alimentazione scorretta e nociva per
l'organismo.

Altri nutrizionisti invece credono che la teoria di Bratman sia
verosimile, anche se non si può ancora parlare dell'ortoressia come
di una nuova malattia. Non ci sono indagini quantitative
sull'argomento, ma Bratman sostiene di aver curato diversi pazienti
affetti da questo disturbo. Un dato però è certo: negli ultimi
vent'anni l'ossessione per la dieta è diventata comune nel mondo
occidentale. E non riguarda solo le donne, ma anche la popolazione
maschile: il tentativo di raggiungere il modello di perfezione
dettato dalla società e gli sforzi e le privazioni alimentari possono
sfociare nell'ossessione. "Tutti sanno che mangiare sano fa bene, ma
un sorprendente numero di persone ha cominciato a farlo in modo
ossessivo. Ed è qui che comincia la malattia", afferma Bratman.

Se infatti il problema di anoressici e bulimici è la quantità di cibo
che ingeriscono, gli ortoressici sono ossessionati dalla qualità. Ma
il cibo di qualità costa caro. E non a caso l'ortoressia nervosa
viene definita una malattia del benessere che colpisce in particolare
persone che appartengono alle classi medio alte e che ha contagiato
noti membri dello star system hollywoodiano. Winona Ryder durante un
recente servizio fotografico ha ordinato una Coca Cola organica,
Jiulia Roberts dichiara di non poter far a meno di allungare il suo
caffè con latte di soia. E ancora Kim Katrall, protagonista di "Sex
and the City", ordina esclusivamente i suoi cibi da
diamondorganics.com, un servizio online di lusso che consegna da una
costa all'altra degli Usa alimenti genuini.

L'ortoressia è apparsa in seguito alla diffusione delle informazioni
sui cibi e sul loro contenuto in termini di grassi, calorie,
zuccheri. Molte persone hanno così modificato la loro dieta nel
tentativo di perdere peso e di ottenere delle condizioni di salute
ottimali. "Ma il tentativo di mangiare in modo corretto", avverte
Bratman nel suo libro, "spinge alcune persone ad adottare regimi
alimentari rigidi, minacciando la loro salute, e ha effetti anche
sulle loro relazioni interpersonali e sull'armonia emozionale".

Queste persone infatti sarebbero tanto devote al mangiar sano da
ridursi a una dieta ferrea: si nutrono di cibi incontaminati -
solitamente verdure crude e graminacee - oppure si dedicano alla
pianificazione dettagliata del loro menù anche a lunga scadenza. E
così stabilire cosa mangiare e preparare i pasti diventa la
preoccupazione principale della loro giornata.

In Health Food Junkies si passano in rassegna le diete più popolari
in America: dalla nota The Zone, secondo la quale bisogna decidere
cosa mangiare in ogni pasto calcolando le energie necessarie al corpo
per le successive 5-6 ore, alla dieta macrobiotica, al row foodism,
che prescrive un'alimentazione spartana a base di verdure crude. Fino
ad arrivare ai veri e propri paradossi alimentari di chi considera
veleno qualsiasi cibo, di chi pensa che nutrirsi di vegetali sia
paragonabile all'omicidio, o di chi si nutre solo di estratti liquidi
di frutta e chi solo di animali appena macellati. "Insomma se
l'alimentazione può diventare settaria ed estremista perché non
credere che nella mente dell'ortoressico si inneschi il corto
circuito dell'ossessione?", si chiede Bratman.

L'ortoressia si basa anche sulla convinzione di seguire un
comportamento virtuoso. Bratman racconta di aver visto pazienti che
arrivavano a chiedere 2-3 volte al giorno come fare per essere più
rigorosi nella loro alimentazione. In alcuni casi, dei pazienti
avrebbero cominciato a seguire un regime alimentare rigido per
alleviare altri disturbi, come per esempio l'asma. E si sarebbero
autoconvinti che i cibi sani hanno virtù terapeutiche. Ma per parlare
di vera e propria malattia, l'ossessione per il cibo di qualità deve
avere un impatto negativo sulla vita di un individuo. Come accade in
alcuni malati che preferiscono ridursi alla fame piuttosto che
consumare cibi impuri o contaminati, o che evitano di andare al
ristorante, o di accettare inviti a cena se non hanno la certezza
della genuinità delle portate.

In Health Food Junkies, Bratman presenta dei quiz per diagnosticare
l'ortoresia attraverso alcuni sintomi tipici. Eccone alcuni: spendere
più di tre ore al giorno a pensare al cibo, pianificare il menù del
giorno dopo, mangiare perché fa bene più che per gusto, ridurre la
qualità della propria vita man mano che aumenta la supposta qualità
della dieta, diventare più rigidi verso se stessi, innalzare la
propria autostima per quello che si mangia e disprezzare le persone
che non seguono un regime alimentare rigido. E ancora: evitare il
cibo che piace per mangiare quello più giusto, seguire una dieta che
rende difficile mangiare fuori, sentirsi in colpa e disprezzarsi se
si mangiano cose che non rientrano nei canoni della dieta abituale e,
infine, avere il controllo di se stessi solo se si mangia nel modo
ritenuto corretto. Se due o tre delle affermazioni precedenti sono in
sintonia con il vostro modo di pensare allora soffrite di una forma
lieve di ortoressia, se invece sono quattro o più significa che
dovete avere un rapporto con il cibo più rilassato. Se tutte le
affermazioni precedenti vi trovano d'accordo allora significa che
siete ossessionati dal cibo.

Le malattie a cui si espongono i malati di ortoressia sono quelle che
derivano da una drastica riduzione di vitamine e minerali e quindi
l'avitaminosi, l'arterosclerosi, l'osteoporosi. La terapia invece
deve mirare a ristabilire nel paziente il controllo sulle sue
abitudini alimentari e deve convincerlo che se è importante seguire
una dieta equilibrata, lo è altrettanto assecondare i propri desideri
nell'alimentazione e trarre piacere dal cibo.

di Paola Coppola

fonte: http://www.newbodycenter.it/html/Articoli/ortoressia.htm

February 05, 2003

Il dolore in Italia ( fonte: la repubblica del 31 gennaio 2003)
3.000.000 l'anno gli interventi chirurgici in Italia che provocano dolori intensi
8% gli anestesisti che prescrivono oppioidi ( morfina , codeina) per i dolori operatori
46 le dosi di oppiodi prescritte in Italia in un anno ogn imilione di abitanti. In Francia sono 1462
30.000 le persone che ogni giorno in Italia hanno dolori dovuti al cancro.

Agenzia internazionale per lo studio e la ricerca sul dolore

Federazione Cure Palliative

La responsabilità può essere collettiva, nel caso di doping
I genitori di una mia paziente, giovane ma già maggiorenne, mi piombano in studio per riferirmi qualcosa di grave. A casa loro è arrivato un pacco postale indirizzato alla figlia, ma da consegnare in realtà al suo fidanzato. I genitori, insospettiti per lo strano confezionamento del pacco, per la sua provenienza olandese, e per il fatto di aver dovuto pagare circa 400.000 L., hanno deciso di aprirlo all'insaputa della figlia. Il contenuto rappresenta una specie di summa del doping: numerose di confezioni di Eritropoietina, ormone della crescita, steroidi anabolizzanti, beta stimolanti, vitamine varie, perfino qualche scatola di Viagra.

Nonostante le reticenze della mia paziente, riesco a ricostruire facilmente tutta la storia: con la scusa di non avere la portineria, il fidanzato fa in modo che i farmaci vengano inviati alla fidanzata, in modo tale che il suo nome resti in ogni caso "pulito". Più tardi i vari prodotti verranno smerciati all'interno della palestra, dove entrambi lavorano come istruttori, a vari clienti che chiedono in maniera eufemistica qualche "integratore" per migliorare le proprie performances fisiche.

Francamente non so che fare. È evidente che si tratta di un reato, ma devo denunciarlo o salvaguardare la mia paziente ?

L'accaduto riferito dal collega, comporta una serie di problemi medico-legali di rilevante complessità e difficoltà.

Innanzitutto occorre osservare come esista una distinzione fondamentale tra "doping" e "stupefacenti" (o "farmaci da abuso"). Infatti, benchè il parlar comune confonda spesso queste diverse fattispecie in realtà, dal punto di vista legale, si tratta di questioni del tutto diverse: benchè alcuni farmaci possano appartenere ad entrambi i gruppi (ad esempio alcuni anfetaminici) non è detto che ciò avvenga nella maggioranza dei casi.

I farmaci stupefacenti sono regolati dal D. L. 539 del 30/12/92 e successive modificazioni (fondamentalmente dalla legge 8/2/2001, n. 12, G. U. n. 41 del 19/2/01).

Tali leggi stabiliscono e limitano in modo inequivocabile le indicazioni, la prescrizione, la distribuzione e l'uso di tali farmaci per tutti i soggetti, con alcune facilitazioni per i soli soggetti neoplastici o comunque affetti da dolore cronico. Le sostanze stupefacenti vengono divise in classi diverse (le famose Tabelle) che dettagliano analiticamente l'uso e la prescrivibilità di tali farmaci.

L'uso di tali farmaci al di fuori delle indicazioni autorizzate costituisce di per sè reato penale.


Le sostanze "dopanti" sono invece sostanze o farmaci di uso comune, liberamente prescrivibili per una serie svariata di patologie più o meno gravi, di uso molto diffuso. Alcune di queste non sono neppure veri e propri farmaci. Il loro uso non costituisce di per sè reato: lo può divenire solo allorchè la cessione o l'uso avvengano in concomitanza con attività sportive e siano finalizzate all'alterazione dei risultati.

Vediamo in dettaglio: le sostanze dopanti sono disciplinate dal Decreto 31/10/2001 n. 440, e dalla Legge 14 Dicembre 2000 n. 376; questa Legge stabilisce che "costituiscono doping la somministrazione o l'assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive... idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti... sono equiparate al doping la somministrazione di farmaci e l'adozione di pratiche non giustificate da condizioni patologiche, finalizzate e comunque idonee a modificare i controlli sull'uso dei farmaci delle sostanze...".

Deriva dalla lettura della Legge quindi che il concetto di sostanza dopante è strettamente connesso a quello di "attività sportive" e di "atletica". Acquistano quindi valore di doping, qualora assunti a questo scopo, tutta una serie di sostanze che, usati in circostanze diverse, sarebbero da considerare farmaci utili o addirittura salvavita.

Non è la sostanza in sè che fa il doping, ma è l'uso che se ne fa: il tentativo di alterare, mediante tali sostanze, le performance degli atleti.

Allo scopo di controllare meglio il fenomeno doping, il Ministero della Sanità ha istituito con Decreto 12 Marzo 2001 la Commissione per la Vigilanza e il controllo sul Doping, e ha anche costituito, aggiornandolo periodicamente, l'elenco delle sostanze dopanti.

In questo elenco sono compresi farmaci di importante effetto clinico come i beta bloccanti, i corticosteroidi, gli anestetici locali, i diuretici, senza contare i tristemente famosi anabolizzanti, e le emotrasfusioni.

Il fatto che si tratti di farmaci di uso comune non evita però che il loro uso a fini dopanti sia disciplinato da norme legali specifiche, di rilievo addirittura penale:

La giovane figlia del paziente, che incautamente si è prestata a fare da "passamano" per la fornitura di tali sostanze, ignora certamente, ad esempio, che, l'art. 9 della Legge 14/12/2000 n. 376, pubblicata sulla G. U. del 18/12/2000 n. 294 stabilisce che "salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da lire 5 milioni a lire 100 milioni, chiunque procura ad altri, somministra, o assume o favorisce comunque l'utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive ricomprese nelle classi previste dall'art. 2 comma 1, che non siano giustificati da condizioni patologiche e che siano idonee a modificare le condizioni psicofiche o biologiche dell'organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti ... . La pena è aumentata se dal fatto deriva un danno per la salute, se il fatto è commesso nei confronti di un minorenne, se il fatto è commesso da un componente o da un dipendente del CONI, se il fatto è commesso da chi esercita una professione sanitaria, in questo caso consegue l'interdizione temporanea all'esercizio della professione".

Il comma 7 poi stabilisce che "chiunque commercia i farmaci ... attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle farmacie ospedaliere e da altre strutture che detengono farmaci direttamente, destinati all'utilizzazione sul paziente, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire 10 milioni a lire 150 milioni".

Per evitare l'aggiramento delle norme mediante la distribuzione dei farmaci dopanti sotto forma di galenici (preparati dal farmacista e quindi non risultanti tra le comuni prescrizioni del SSN) la legge prevede appunto che le preparazioni galeniche, officinali o magistrali che contengono i principi attivi appartenenti alle classi farmacologiche vietate, sono prescrivibili solo dietro presentazione di ricetta medica non ripetibile; il farmacista è tenuto a conservare l'originale della ricetta per sei mesi.

È chiaro che alcune sostanze tra quelle numerate sono indubbiamente comprese nell'elenco delle sostanze dopanti: Eritropoietina, ormone della crescita, steroidi anabolizzanti, beta stimolanti.

È utile ricordare come tra le sostanze "dopanti" siano stati inclusi (in base alla normativa del Comitato Olimpico Internazionale) principi attivi solitamente considerati innocui o usati per patologie del tutto diverse. Qualche esempio:


Caffeina



Efedrina



Clortalidone, Idroclorotiazide, Furosemide e altri diuretici



Alcool



Cortisonici



Betabloccanti



Anestetici locali.

Le responsabilità penali

È evidente come diversi soggetti possano venire implicati nel compimento di tali reati: il medico che incautamente avesse prescritto tali farmaci (o il farmacista che li distribuisse irregolarmente) incorrerebbe, oltre alle pene detentive e pecuniarie, anche nell'interdizione all'esercizio professionale; alle "sole" pene detentive e pecuniarie incorrerebbero invece il procacciatore, il custode, il distributore, l'eventuale importatore.

La ragazza si è perciò prestata, certo inconsapevolmente e credendo di fare solo un favore al fidanzato, a un gioco molto pericoloso, che per certi aspetti è assimilabile a coloro che detengono e spacciano stupefacenti.

Astuto (dal suo punto di vista) appare il comportamento del fidanzato, abilissimo nello scaricare i rischi sulle spalle della ragazza.

Cosa deve fare il medico?

Occorre per prima cosa valutare se il collega che ci ha scritto sia un libero professionista o un medico convenzionato con il SSN.

È noto infatti come il medico convenzionato possa trovarsi, nello svolgimento delle sue mansioni, a svolgere il ruolo di Pubblico Ufficiale, per cui può soggiacere a norme particolarmente severe.

Il medico (qualsiasi medico, anche libero-professionista) che in occasione della sua attività professionale venga a conoscenza di un reato perseguibile d'ufficio, ha obbligo di presentare referto all'Autorità Giudiziaria.

Il nuovo Codice di Procedura Penale art. 334 stabilisce, a questo proposito: "Chi ha l'obbligo di referto deve farlo pervenire entro 48 ore o, se vi è pericolo di ritardo, immediatamente al Pubblico Ministero o a qualsiasi Ufficiale di Polizia Giudiziaria nel luogo in cui ha prestato la propria opera o assistenza, ovvero, in loro mancanza, all'Ufficiale di Polizia Giudiziaria più vicino. Il referto indica la persona alla quale è stata prestata assistenza e, se è possibile, le sue generalità, il luogo dove si trova attualmente e quanto altro valga a identificarla nonchè il luogo, il tempo e le altre circostanze dell'intervento; dà inoltre le notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o può causare...".

L'art. 365 c. p. stabilisce poi che "Chiunque avendo nell'esercizio di una professione sanitaria prestata la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per i quali si debba procedere d'ufficio omette o ritarda di riferire alle Autorità indicata nell'art. 361, è punito con la multa fino a un milione. Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale".

Come si può osservare, perchè scatti l'obbligo di referto occorre che:


Il medico abbia prestato assistenza o opera professionale (sono esclusi i pettegolezzi o le notizie apprese in occasioni diverse).



Che i fatto possano presentare i caratteri di delitto perseguibile d'ufficio (non è necessario che ciò sia certo, è sufficiente che sia possibile).



Il fatto non esponga il proprio assistito a procedimento penale (per assistito si intende la persona a cui si è prestata assistenza o opera).

Nel caso in oggetto non sembra che siano presenti le caratteristiche che obblighino al referto.


Diverso è il caso del Medico Convenzionato: in quanto Pubblico Ufficiale egli può essere tenuto all'obbligo di denuncia.

La denuncia è la segnalazione all'autorità Giudiziaria di un reato, obbligatoria da parte di un Pubblico Ufficiale o da un Incaricato di Pubblico Servizio che siano venuti a conoscenza di un reato perseguibile d'ufficio (art. 333, 361, 363, 331, 332, 362 C. P. ).

Per quanto riguarda la denuncia l'art. 331 stabilisce che "I Pubblici Ufficiali o gli Incaricati di un pubblico servizio che nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizie di un reato perseguibile d'ufficio, devono farne denuncia per iscritto anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al Pubblico Ministero o a un ufficiale di Polizia Giudiziaria. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto ...".

L' art. 332 precisa: "La denuncia contiene l'esposizione degli elementi essenziali del fatto e indica il giorno dell'acquisizione della notizia nonchè le fonti di prova già note. Contiene inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti la ricostruzione dei fatti".


Come si può osservare, perchè scatti l'obbligo di denuncia occorre essenzialmente che il collega abbia avuto notizia di reato "nell'esercizio e a causa delle sue funzioni", sia stato cioè interpellato nella sua specifica qualità di medico curante. Egli solo può valutare se così sia stato o se invece il colloquio avuto con i genitori, indipendentemente dal luogo ove si sia svolto, sia stato solo uno sfogo o una richiesta di consiglio rivolta ad un amico, e, sostanzialmente, extraprofessionale.

Certo, in ogni caso, l'imprudente ragazza va assolutamente informata e fermamente ammonita a non farsi docilmente strumentalizzare da chi, evidentemente, abusa del suo sentimento e della sua buona fede.

Un' ultima annotazione: l'art. 76 del Codice Deontologico vieta espressamente al medico di consigliare, prescrivere o somministrare trattamenti dopanti. Queste regole forse non sono abbastanza rispettate, ma le conseguenze di un incauto comportamento possono essere gravi.

Screening del carcinoma della prostata con il PSA: ancora una prova di non efficacia
In alcuna zone degli Stati Uniti vi è un atteggiamento aggressivo nei confronti dello screenng del carcinoma ella prostata mediante PSA. Altre zone mantengono un atteggiamento più astensionista.
Gli autori di questo studio hanno pensato di utilizzare la disparità di comportamento tra zona e zona per una sorta di "esperimento naturale".
Sono quindi stati confrontati i dati riguardanti lo screening, il trattamento e la mortalità riferiti a ca della prostata in 94,900 uomini abitanti nell'area di Seattle - Puget Sound con i dati di 120,621 uomini abitanti nel Connecticut. alla data del 1 gennaio 1987, la popolazione era di età compresa tra 65 e 79 anni e non vi erano casi di da tumore della prostata.
Dopo 10 anni si sono esaminati i risultati.
Dal 19887 al 1990, il numero di PSA effettuato a Seattle fu 5.39 volte superiore di quelli effettuati in Connecticut e il numero di biopsie prostatiche a Seattle fu di 2.2 volte superiore di quelle effettuate in Connecticut.
Durante il follow-up di 10 anni, il tasso cumulativo di prostatectomia e radioterapia a Seattle furono del 2.7% e 3.9% rispettivamente contro 0.5% e 3.1% del Connecticut.
La mortalità cumulativa per carcinoma della prostata nelle due aree rimase la stessa, per cui sembrerebbe del tutto inutile la differente impostazione diagnostica delle due regioni.
Questo studio, sebbene intelligentemente impostato e diligentemento condotto, presenta però due limitazioni parziali. In primo luogo si tratta di uno studio di tipo retrospettivo e inoltre, benchè in percentuale diversa tra i due Stati, solo una bassa percentuale di soggetti inclusi nello studio, anche a Seattle, è stata sottoposta al test del PSA.
È comunque in corso negli USA un trial randomizzato che si spera chiarirà definitivamente l'argomento.

BMJ 2002 Oct 5; 325: 740-3

Primi successi dei linfociti T contro il cancro dopo 20 anni di delusioni
Nell'ambito delle masse tumorali sono presenti linfociti T (tumor-infiltrating lymphocytes-TILs) dotati di capacità citotossiche nei confronti delle cellule neoplastiche.
Il loro piccolo numero tuttavia ben poco può fare contro la intensa proliferazione cellulare maligna.
I ricercatori hanno quindi avuto l'idea di prelevare campioni di tessuto neoplastico, isolare i linfociti T e moltiplicarli in vitro per poi reinfonderli nel paziente.
Questo accadeva 20 anni fa. 20 anni di delusioni ma che hanno visto un progressivo affinamento della tecnica e una ricerca continua di nuove e più efficaci soluzioni.
In questo ultimo lavoro, i ricercatori hanno fatto proliferare in vitro solo i linfociti T che rispondevano ad un ben specifico antigene del melanoma. Inoltre mediante chemioterapia hanno impoverito il patrimonio linfocitario dei pazienti prima di reinfondere i linfociti T clonati.
Su 13 pazienti affetti da melanoma in fase terminale si sono avute risposte significative, tra cui la regressione delle lesioni primarie e delle masse metastatiche.
In due pazienti si è assistito alla regressione del 95% e del 98% delle lesioni primarie.
I linfociti TIL sono rimasti attivi anche per 10 mesi, cosa mai successa in precedenza.
Forse è possibile cominciare a sperare in una effettiva applicazione pratica della metodica.

Science 2002 Sep 19


Prevenzione ca della mammella con autopalpazione: serve?
La BSE (Breast self Examination) è stata propagandata per anni come misura di prevenzione del carcinoma della mammella senza che adeguate evidenze ne sostenessero la validità.
Adesso abbiamo a dsiposizione irisultati di un trial supportato dal NIH che ci permettono di arrivare a conclusioni più sicure.
Sono state incluse nel trial donne lavoratrici in 519 fattorie cinesi.
Circa 133,000 donne ricevettero un accurato training nella autopalpazione del seno. Un gruppo di controllo della stessa consistenza non ricevette alcuna istruzione.
La mammografia non era disponibile e la maggior parte delle donne non si sottoponeva a palpazione del seno da parte del proprio medico.
Tutti gli esami istologici furono riesaminati negli Stati Uniti.
In 10 anni di follow-up, il numero di morti per tumore della mammella risultò virtulamente identico nei due gruppi: (135 - gruppo BSE e 131 - gruppo di controllo).
La sopravvivenza totale però, per motivi non chiari, risultò leggermente superiore nel gruppo BSE (95.2% contro 94.9%, risultato significativo). Nel gruppo BSE vennero praticate 3600 biopsie contro 2400 del gruppo di controllo)
Gli autori concludono che sarebbe opportuno avvertire le pazienti che l'efficacia della BSE non è dimostrata.

J Nat. Cancer Inst 2002 Oct 2; 94: 1445-57